IL GIUDICE ISTRUTTORE
    Il  giudice  istruttore, sciogliendo la riserva di cui al verbale
  di  udienza 8 marzo 2000, nel quale le parti della causa n. 27/1998
  R.G.  tribunale  di Lecce non sono comparse; poiche', in virtu' del
  rinvio  operato  dall'art. 309  c.p.c.,  a tale situazione dovrebbe
  applicarsi  il  primo comma dell'art. 181 c.p.c., che cosi' recita:
  "Se  nessuna  delle  parti  comparisce  (...), il giudice fissa una
  udienza  successiva,  di  cui il cancelliere da' comunicazione alle
  parti  costituite.  Se  nessuna  delle  parti comparisce alla nuova
  udienza,  il  giudice,  con  ordinanza  non impugnabile, dispone la
  cancellazione   della   causa   dal  ruolo";  poiche'  tale  comma,
  introdotto  dal  comma 1-bis dell'art. 4 del d.-l. 18 ottobre 1995,
  n. 432,  convertito  con  modificazioni  in legge 20 dicembre 1995,
  n. 534,  ha sostituito il precedente testo, introdotto dall'art. 16
  legge  26 novembre 1990, n. 353: "Se nessuna delle parti comparisce
  nella  prima  udienza  davanti  al  giudice istruttore, questi, con
  ordinanza non impugnabile, dispone la cancellazione della causa dal
  ruolo";
    Ritenuta  pertanto  la  rilevanza della questione di legittimita'
  costituzionale dell'attuale art. 181, comma 1 c.p.c., in quanto, in
  caso  di  sua  caducazione,  il  ripristino  del  testo  introdotto
  dall'art. 16   legge   n. 353/1990   comporterebbe,  nella  specie,
  l'immediata cancellazione della causa dal ruolo;

                            O s s e r v a

    Il  secondo  periodo  del  secondo  comma  dell'art.  111  Cost.,
  introdotto   dalla   legge   Costituzionale   2/1999,   stabilisce,
  riferendosi  ai  processi, che "la legge ne assicura la ragionevole
  durata".
    Secondo    la    giurisprudenza   costituzionale,   il   precetto
  dell'art. 97   Cost.,   ponendo   l'obiettivo  del  buon  andamento
  dell'amministrazione,  ha  ad  oggetto  le  leggi  che regolano gli
  aspetti  organizzativi della p.a. (compresa l'amministrazione della
  giustizia),   e   lascia   al   di  fuori  i  contenuti  intrinseci
  (funzionali),  e  non  meramente organizzativi (strutturali), della
  legislazione sulla p.a.
    Orbene,  il  precetto citato dell'art. 111 Cost., pur costituendo
  specificazione   della   regola  del  buon  andamento,  enuncia  un
  particolare      obiettivo      qualitativo      del     "prodotto"
  dell'amministrazione   giudiziaria:   la   ragionevole  durata  del
  processo,  o  piu'  semplicemente  la  sua  celerita',  la quale si
  tramuta, da obiettivo sostanziale dell'amministrazione giudiziaria,
  in   bene   giuridico   di  formale  rilevanza  costituzionale,  in
  conformita'  all'evoluzione politica degli Stati contemporanei, nei
  quali  la  questione  della giustizia e' diventata aspetto centrale
  della  democrazia.  Il  riconoscimento della celerita' del processo
  come  bene  costituzionale  fa  si' che alla sua stregua siano oggi
  sindacabili   anche  gli  aspetti  intrinseci  e  funzionali  della
  legislazione  relativa  all'amministrazione  della giustizia, e, in
  particolare, delle regole del processo, nella specie civile.
    In altri termini, se e' di regola riservata alla discrezionalita'
  del legislatore l'individuazione e la scelta delle soluzioni idonee
  ad  accelerare  la  durata  dei  processi,  o comunque ad impedirne
  l'irragionevole   prolungamento,   e'   anche  vero  che  la  norma
  processuale  che senza ragione giustificatrice allunghi i tempi del
  processo,  magari  -  come  nella  specie  - sopprimendo una regola
  preesistente  che  li  abbreviava, si pone in diretto contrasto con
  l'art. 111 Cost.
    E  la  ragione  giustificatrice  dell'allungamento  non  puo' che
  risiedere  nell'esigenza  di  tutela  di un diverso bene di rilievo
  costituzionale,  in potenziale conflitto con quello della celerita'
  della giustizia.
    Nella  specie,  il  comma  1-bis dell'art. 4 legge n. 432/1995 ha
  determinato l'allungamento della durata di tutti i processi civili:
  non  soltanto,  in  modo diretto, di quelli per i quali non e' piu'
  possibile,  a  seguito  della  mancata  comparizione  delle  parti,
  l'immediata  cancellazione della causa dal ruolo, ma anche, in modo
  indiretto,  degli  altri, che vengono fissati o differiti a udienze
  piu'  lontane  di  quelle che sarebbero altrimenti utilizzabili, se
  non  vi  fosse  il peso dei procedimenti per i quali, nonostante la
  mancata  comparizione  delle parti, e' necessario fissare una nuova
  udienza.  Ed  e' notorio che i casi in cui alla nuova udienza cosi'
  fissata le parti compaiono, impedendo la cancellazione della causa,
  sono quantitativamente assai ridotti.
    Ne'  la  norma  in  esame  tutela realmente altri beni di rilievo
  costituzionale.  Il  legislatore  del  d.-l.  n. 432/1995,  invero,
  intendeva  evitare  che,  per  mero  disguido,  magari imputabile a
  disfunzioni  di  cancelleria,  la parte subisse la "sanzione" della
  cancellazione  della  causa  dal  ruolo:  si tratta di un obiettivo
  riconducibile al diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.
    Lo strumento cui ha fatto ricorso la norma in esame, tuttavia, e'
  da  un  lato  non indispensabile, dall'altro non efficace, rispetto
  alla tutela del diritto di difesa.
    Non   indispensabile   perche'   la   parte   che  ha  subito  la
  cancellazione  ha  comunque  un  anno  di tempo per la riassunzione
  (art. 307  comma  10  c.p.c.).  E' vero che questo periodo potrebbe
  trascorrere  invano,  qualora  nulla  la  parte  abbia saputo della
  cancellazione: cio' peraltro dipende dal fatto che l'art. 181 comma
  1  c.p.c., sia nel testo risultante dalla legge n. 353/1990, che in
  quello   risultante   dalla   legge  n. 534/1995,  non  prevede  la
  comunicazione  alle  parti dell'ordinanza di cancellazione, sicche'
  e'  solo quest'ultima carenza a provocare la potenziale lesione del
  diritto di difesa.
    Non  efficace  perche'  in  entrambi  i  testi l'art. 181 comma 1
  c.p.c.  non  prevede  alcuna  tutela  per  la parte che non compaia
  all'udienza  per gravi motivi (ad es., per malattia del difensore),
  e  inoltre,  stabilendo  la  non  impugnabilita'  dell'ordinanza di
  cancellazione,  ne  preclude  (cfr. art. 177, comma 3, n. 2 c.p.c.)
  anche  la  revoca,  pur  quando  fondata su errore riconosciuto dal
  giudice che l'ha emessa.
    A   ben   guardare,  quindi,  la  modifica  operata  dalla  legge
  n. 534/1995  non  accresce in modo effettivo la portata del diritto
  di  difesa,  limitandosi  a concedere alla parte, ma su di un piano
  meramente empirico e fattuale, una (non garantita) chance in piu'.
    Di   conseguenza,   l'allungamento   della  durata  dei  processi
  provocato  dalla  norma  in  esame  deve ritenersi non giustificato
  dalla tutela di altro bene di rilievo costituzionale.